La storia di Marianna, donatrice effettiva!

Era il luglio del 2004 quando, durante le vacanze estive, mi è arrivata una telefonata ed era mia zia, che dopo il solito “Buon Viaggio, divertiti Mara” mi comunicò che le era stata diagnosticata la leucemia.

“Che cos’è la leucemia?”  pensai “Cosa colpisce? E’ curabile?” Ma lei mi tranquillizzò e mi disse “Non preoccuparti Mara, andrà tutto bene”.

Purtroppo dopo due anni circa tra ospedale e casa, mascherine e disinfettanti, le forze cedettero e la malattia vinse.

Quando ci penso, mi sembra ieri. E’ tutto così nitido pur essendo trascorsi ormai dieci anni: la sofferenza, il coraggio, la forza di chi vuole ancora vivere e continua a lottare. Ho visto una malattia che annienta, per la quale puoi solo aspettare, sperare e pregare.

Da li la scelta di iscrivermi all’ADMO.

Durante il primo colloquio con il dirigente medico di Roma, tanta era la voglia di dare un contributo che non feci troppe domande. Sapevo perch? lo stavo facendo. Non avevo potuto aiutare mia zia ma forse qualcuno sarebbe stato più fortunato di lei: un bambino, una figlia, una madre, un padre. Qualche famiglia poteva ancora continuare a sperare.

Per sette anni non ebbi alcuna notizia finché il 31 dicembre del 2013 arrivò una prima chiamata:

“Marianna, se sei ancora disponibile, dovremmo incontrarci forse c’è una compatibilità con un paziente” Ricordo ancora quell’emozione è corsi subito da mio padre, in lacrime è oggi ripensando a quel momento ho ancora gli occhi lucidi: “Papà mi hanno chiamata dall’ADMO forse posso aiutare una persona malata di leucemia”.

A distanza di anni lo posso dire (mamma non me ne volere e papà…in fondo so che lo hai sempre saputo): ebbene si ogni tanto qualche sigaretta la fumavo anche io. Ma l’idea di dover donare una parte di me a qualcuno meno fortunato, mi spinse a smettere di fumare. Dovevo essere perfetta.

Purtroppo dopo il primo incontro non ebbi più aggiornamenti. Forse non ero compatibile. Forse era troppo tardi chissà!

Passarono due anni circa finché nel febbraio di quest’anno mi arrivò una seconda chiamata: avevo già superato tutti gli step di compatibilità tranne uno l’ultimo. Lo organizzammo in quella stessa giornata. Ero emozionata. Ero stupita. Un’altra chiamata. Un’altra compatibilità. Questa volta c’ero quasi.

Passò circa un mese e mezzo era il 22 marzo quando il giorno della laurea di mio fratello, il giorno in cui mia nonna ci ha lasciati, mi comunicarono FINALMENTE che ero compatibile. Un HLA quasi identico.

Avevo la possibilità di salvare una vita, o meglio, di dare una seconda chance di vita.

Piansi ancora. Di Gioia. Di felicità.

Dalla settimana successiva iniziarono tutti i controlli: esami del sangue, elettrocardiogramma, RX Torace; tutti esami non invasivi. Dovevo però scegliere la tipologia di donazione: espianto o aferesi?

Se siete qui che leggete, sicuramente sapete di che cosa stiamo parlando  ma per esserne sicuri farò qualche breve accenno alle due alternative: nel primo caso si tratta di un intervento in anestesia totale dove prelevano dalle creste eliache un quantitativo variabile di sangue midollare (varia a seconda del peso del paziente e del donatore); nel secondo caso si tratta di un prelievo di sangue dopo stimolazione con i c.d. “fattori di crescita” (aiutano ad aumentare il numero delle cellule staminali).

Io ho optato per l’espianto midollare.

Nelle due settimane pre-ricovero, mi sono sottoposta a due autotrasfusioni: dovevo “accantonare” circa 900 cc di sangue per poi rifonderli durante l’intervento.

Ad essere sinceri nelle ultime settimane iniziò a salire un po’ di ansia: sarebbe stato il mio primo intervento, la mia prima anestesia ovviamente stavo bene ed il rischio era nullo ma un po’ di paura c’era (credo sia normale). Una notte però feci questo sogno: ero in sala operatoria, sveglia, attorno a me tutte le persone care: la mia famiglia, i miei amici, mia nonna che mi accarezzava e mia zia che mi guardò dritta negli occhi e mi disse: “Questa malattia é una bestia. Mara, non hai idea di quanto io sia felice”. Io sono credente. Credo in una vita dopo la morte. Credo che mia zia e mia nonna siano “venute da me” per tranquillizzarmi, per confermarmi che sarebbe andato tutto bene. Da quel giorno non ho avuto più nessuna ansia, nessuna paura.

Mi sono ricoverata il giorno prima intorno alle ore 18.00 presso il reparto di Ematologia : ero nello stesso reparto di chi aveva già ricevuto il midollo osseo da un familiare. Erano solo cinque pazienti. Purtroppo non sono riuscita a scambiare con loro neanche un saluto perché a differenza mia, loro dovevano limitare il più possibile contatti con il “mondo esterno”. Ho chiacchierato solo con gli infermieri: negli ultimi quattro anni ero la seconda donatrice volontaria di midollo osseo. Questo per capire quanto siano rare le compatibilità (1/100.000) e quanti donatori volontari siano necessari.

La notte pre-donazione non è passata in fretta, continuavo a pensare: “avrò cellule staminali sufficienti per il ricevente? E se non fosse così? Se alla fine fossero poche? Ho sbagliato a scegliere tipologia di donazione?” Pregavo. Affinché tutto andasse per il meglio.

La mattina intorno alle 8.30 le infermiere mi accompagnarono in sala operatoria. Camice, cuffietta ed ero pronta. Avevo il cuore a mille. Ma tutti erano lì pronti per tranquillizzarmi. E poi sapevo di non essere da sola. La prima pre-anestesia non funzionò granché, ero ancora molto sveglia. Con la seconda anestesia però ricordo solo di aver detto: “Quest’estate vado in vacanza in Sardegna” dopodiché una gran bella dormita!.

Mi sono svegliata dopo circa 3 ore anche se l’intervento durò circa un’ora e mezza. Un po’ di dolore, ma il primo pensiero e le prime parole furono sul numero di cellule staminali. I medici dissero che ero stata generosissima (ed ovviamente loro bravi nel prelevare nei punti giusti). Avevano raccolto più cellule staminali di quelle necessarie. Che gioia.

Fuori dalla sala operatoria la mia famiglia. Felici ed orgogliosi.

I dolori sono simili ad un forte mal di schiena: per le prime ore si ha difficoltà ad alzarsi ma è tutto sopportabile. La mia camminata era buffa (gambe aperte e schiena arcata) ma intanto camminavo. Il giorno successivo, mi hanno dimessa. Alle 15.00 ero già a casa. La sera pelavo le patate per cena. Lunedì ero già a lavoro. Stavo e sto bene.

Il messaggio che vorrei che arrivasse a tutti voi che leggete, è che non serve essere speciali per donare il midollo osseo, né essere una persona migliore degli altri.

Tutti lo possono fare. Basta pensare al prossimo. Fermarsi un attimo e capire che qualcuno potrebbe avere bisogno di te. Se una persona ti chiede aiuto ed è nelle tue facoltà aiutarla, va aiutata.

E se la persona malata fossi io? Fossi tu? Un tuo familiare? Un tuo amico? Non faresti di tutto per renderti utile? Il principio è questo. Fare qualcosa. Indipendentemente da chi ti chiede aiuto.

Io non sono diversa da te. Ho solo un HLA compatibile con quello di un altro individuo. Forse anche tu hai un HLA speciale.

Vorrei salutarvi scrivendovi questo:

* a distanza di cinque mesi dall’intervento sto bene, sono in gran forma ed i miei valori sono tornati alla normalità (già da quattro mesi in realtà!);

* oggi guardo con orgoglio e gioia quei due/tre segni (puntini) dietro la schiena dovuti all’espianto midollare:il più bel tatuaggio che potessi avere!

* ero consapevole di tutto ed i medici hanno risposto ad ogni mio quesito;

* in fin dei conti la donazione mi ha anche aiutato a smettere di fumare!

* oggi sono ancora più felice di ieri;

* un pensiero speciale va al mio fratello/sorella di sangue, perché in fondo é questo quello che siamo. Tu hai un po’ di me. Io ho un po’ di te. Penso a te ogni giorno, pur non sapendo di te nulla. Spero tu stia bene. Prego affinché tu lo sia sempre.

* non abbiate mai paura di fare del bene e soprattutto: DIVENTATE DONATORI!

Marianna