Nuova possibile cura per la leucemia mieloide cronica
Nuova possibile cura per la leucemia mieloide cronica
Una sperimentazione, per ora solo su colture di cellule in laboratorio, mette in luce l’utilità di una sostanza che interferisce con il calcio
Riuscire a comprendere i meccanismi che rendono alcune forme di tumore resistenti ai farmaci e curare anche i pazienti che non rispondono ai trattamenti oggi disponibili: questi sono due importanti obiettivi dei ricercatori impegnati nella lotta contro il cancro. Riccardo Alessandro, del Dipartimento di biopatologia e metodologie biomediche, sezione di Biologia e Genetica, dell’Università di Palermo, e colleghi, grazie anche al sostegno dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), si sono dedicati allo studio di queste problematiche nella leucemia mieloide cronica.
La cura della leucemia mieloide cronica ha fatto grandi passi avanti grazie all’introduzione, alcuni anni fa dell’imatinib mesilato, un farmaco biologico che blocca l’azione della proteina bcr-abl, presente nelle persone affette da questo tipo di tumore e non in quelle sane. Bcr-abl è in grado infatti di attivare una serie di meccanismi che hanno come risultato l’insorgenza del cancro: aumenta la capacità riproduttiva e invasiva delle cellule e le rende insensibili ai fenomeni di apoptosi, ciò di morte cellulare programmata. Nonostante la grande efficacia del farmaco, però alcune persone non rispondono alla terapia o diventano resistenti durante il trattamento, secondo meccanismi non ancora del tutto chiariti. Da qui la necessità di individuare nuovi farmaci che agiscano su bersagli diversi da quelli noti, con lo scopo di eliminare la malattia o perlomeno bloccarne la progressione. Per questo gli autori dello studio hanno focalizzato la loro attenzione su una molecola dal nome complesso, il carbossiamidotriazolo, o più semplicemente CAI. Il CAI, già disponibile come farmaco, agisce sul calcio, una sostanza che a sua volta svolge un’azione di regolazione in molti processi cellulari normali (proliferazione) e patologici (per esempio contribuendo all’insorgenza e progressione di alcune forme tumorali).
Secondo i risultati dello studio sperimentale, il CAI diminuisce i livelli della proteina bcl-abl nelle cellule di leucemia mieloide cronica resistenti all’imatinib, quindi può essere molto utile come cura di secondo livello, se la prima fallisce. Risultati preliminari, certo, e al momento limitati a modelli cellulari di laboratorio, ma che suggeriscono una nuova ipotetica via per la cura di questo tumore.
Fonte: AIRC.IT